CIANCIOTTA: SENZA LA TAV RIMARREMO ISOLATI

di Marco Giancarli

09 Febbraio 2019

«È davvero incredibile che non si riesca a guardare oltre il proprio ombelico, a ragionare in grande. Senza questo colpo di reni l'Italia sta scivolando, come stiamo registrando, verso la povertà. Prima o poi i partner europei che contano ci abbandoneranno al nostro destino. Come si fa ad essere così ciechi sulla Tav, a usarla a fini elettorali quando la posta in gioco è tanto grande”. Se lo chiede in un’intervista rilasciata a Italia Oggi, il giornalista e docente Stefano Cianciotta, presidente dell'Osservatorio sulle infrastrutture di Confassociazioni. “Con la Tav – prosegue Cianciotta -, Milano e Torino diventerebbero il centro dell'Europa che si trasforma in una grande metropoli che collega entro un decennio in 4 ore o poco più Londra e le città italiane del Nord, cioè il Nord e il Sud dell'Europa. Per Cianciotta: «Gli investimenti in infrastrutture hanno mobilitato nel 2018 il 14% (9,5 bilioni di dollari) del pil mondiale mentre in Europa siamo ad appena il 2,7% del pil e in Italia addirittura all'1,8%. Sempre il presidente dell’osservatorio, dice come  Un'attenta valutazione dei costi e dei benefici della Tav doveva sforzarsi di inglobare tutti gli aspetti del progetto: da quelli di tipo trasportistico (in termini di minori e maggiori tempi di percorrenza e costi legati alle alternative modalità di trasporto) a quelli sanitari, legati agli effetti generati dalla riduzione del trasporto merci su gomma e alla relativa riduzione di emissioni inquinanti, con un calcolo preciso dell'impatto ad esso associato. Ed ancora alla quantificazione degli effetti moltiplicativi di sistema che l'opera sarà in grado di generare con l'inserimento del Paese nelle reti lunghe di trasporto europeo. Cianciotta boccia l’idea del referendum perché Si sta confondendo la legittima richiesta di partecipazione dei cittadini nei processi decisionali con il fatto di addossare ad essi una decisione strategica per la competitività del Paese. La sensazione è che per superare un No che esce da un'analisi costi-benefici manchevole, e per non scontentare una parte di società che invece ritiene essenziale la realizzazione dell'infrastruttura, si voglia attribuire un potere decisionale smisurato ai cittadini, che potrebbero anche ignorare completamente l'oggetto della discussione.Quello di Cianciotta è un vero e proprio grido d’allarme poiché secondo il professore: Dall'inizio della crisi (2008) in Italia gli investimenti pubblici sono diminuiti di oltre un terzo, quelli per le infrastrutture, che nel 2009 raggiungevano quota 29 miliardi, nel 2017 ammontavano a soli 16 miliardi. Mentre il resto del mondo in questo decennio ha scelto di investire sulle infrastrutture per assecondare una nuova fase di sviluppo, l'Italia negli ultimi dieci anni è andata nella direzione contraria. Disinvestire nell'ultimo decennio nelle infrastrutture è costato ogni anno al Paese almeno un punto di Pil, secondo l'analisi del nostro Osservatorio. In più c'è la crisi che si è scaricata sul settore delle costruzioni. Ci si allarma per la crisi occupazionale poi si chiudono gli occhi su 600 mila posti di lavoro persi nelle costruzioni negli ultimi dieci anni”. LA ricetta non è semplice per Cianciotta che però avvisa: “In Italia dobbiamo modificare la percezione delle infrastrutture. Le parole più utilizzate nel Codice degli Appalti sono corruzione e Anac, a conferma che le infrastrutture sono ancora concepite e valutate come la metafora del malaffare.

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