14 Marzo 2019
Giustizia per tutte le vittime di omicidio, è questo lo scopo della manifestazione di protesta che si è tenuta davanti alla Corte d'Appello dell'Aquila in occasione della seduta nella quale sono tornati nelle aule giudiziarie Fabiola Bacci e Jonathan Sterlecchini, rispettivamente madre e fratello di Jennifer Sterlecchini, ventiseienne pescarese uccisa dall’ex compagno (Davide Troilo) nel dicembre 2016 con diciassette coltellate. L'ex fidanzato, giudicato in primo grado con il rito abbreviato e condannato a 30 anni, chiede ora lo sconto di pena. Senza l'aggravante dei futili motivi e con la diminuente del rito abbreviato la pena conclusiva potrebbe essere di 16 anni di reclusione. Una richiesta giuridicamente legittima, quella dello sconto di pena, ma che non accettano i familiari, appoggiati anche da amici, attivisti, cittadini ed associazioni operanti nel settore del contrasto alla violenza di genere, nonché i familiari di altre vittime di femminicidio. Il fine della protesta, come dicono gli stessi attivisti, alcuni molto legati alla famiglia Sterlecchini, è stato anche quello di sostenere la campagna per la certezza della pena e sollecitare l’approvazione del disegno di legge in merito all’abolizione del rito abbreviato per i reati che prevedono l’ergastolo, già passato alla Camera e ora in attesa di approvazione da parte del Senato. Il caso Sterlecchini, dicono sempre gli attivisti, potrebbe rappresentare un precedente in Italia nel caso in cui la pena inflitta venisse confermata. La voce di protesta alzata all'Aquila raccoglie tutta l'amarezza del paradosso della legge italiana relativa ai casi di omicidio, per i quali si garantisce il processo equo e l'assistenza legale e psicologica per i presunti colpevoli ma che lascia a se stessi i familiari delle vittime. Sui quali si aggrava, oltre al lutto, il paradosso di sostenere tutte le spese per avere giustizia.